Con la parola “rituale” si fa riferimento ad una serie di sequenze di comportamento codificate e direzionate verso uno scopo condiviso. Tali sequenze derivano in parte dalle nostre predisposizioni neurali ed in parte - per quanto riguarda la nostra specie - dalla dinamica culturale evolutasi all’interno di un dato contesto storico-culturale-ambientale.
Al livello di base il rito con la sua dinamica strutturata produce una specifica realtà informativa differenziando e codificando i comportamenti che lo definiscono, dotandoli di una valenza connotativa e orientante all’interno di una realtà condivisa ntersoggettivamente. Si possono chiaramente evidenziare alcune funzioni di base pur con le peculiari differenze comportamentali/comunicative - condivise tra specie diverse come, ad esempio, la comunicazione dello status sociale o la coordinazione di determinati comportamenti capaci di elicitare risposte neurofisiologiche di attivazione di specifiche condotte connesse alla sessualità o alla difesa territoriale. Ma è nella specie umana, con la sua esponenziale capacità di simbolizzazione, che la dinamica prodotta dal rito raggiunge la sua massima espressione. Come è stato sottolineato da Rappaport il rituale, ad esempio, non identifica semplicemente che cosa è “sacro”, ma attraverso la sua dinamica lo crea. La ritopoiesi che determina e struttura in senso autoricorsivo la processualità fenomenica del rito si sovrappone, fondendosi attraverso la simbolizzazione narrativa, alla mitopoiesi culturale in una circolarità sistemica che si autostabilizza e si automantiene nel tempo definendo molto spesso, peraltro, i confini in e out dell’identità del gruppo.
Da un punto di vista antropologico si ritiene che il rituale - e nella fattispecie quello connesso alle pratiche religiose (è interessante qui riflettere sulla potenziale funzione evolutiva di mantenimento della struttura sociale che deriva della “credenza” condivisa di una realtà trascendentale) - si sia evoluto con la funzione sia di favorire la cooperazione sia come coordinatore per le relazioni sociali strutturate attraverso il tempo e lo spazio. Per esempio è tenendo a mente quello che si è appena letto che è possibile ipotizzare l’utilizzo funzionale della dinamica rituale nelle esperienze di passaggio, sia al livello del singo lo soggetto sia a livello della comunità/gruppo, in quanto all’interno della narrazione mito-poietica sono ravvisabili dei precisi schemi di comportamento sociale che scandiscono le fasi evolutive del soggetto/gruppo all’interno del continuum storico/temporale.
Per quanto concerne la risposta psicofisiologica, l’esperienza rituale è e rappresenta per l’essere umano una sorta di porta di passaggio per stati di coscienza connessi a differenti stati emotivi.
Per esempio con la parola “sacro” si fa riferimento ad un qualcosa capace di elicitare un certo tipo di risposte che determinano nel soggetto una modifica della propria percezione della realtà contingente, in una sorta di stabilizzazione dei significati simbolici all’interno di una dinamica neuro-contesto-dipendente. In genere, nella nostra esperienza, l’“oggetto sacro” ha la funzione di evocare risposte positive capaci di determinare l’insorgenza di emozioni stabilizzanti e rassicuranti per la nostra realtà fenomenica (a questo proposito possiamo citare il parallelismo con l’oggetto transizionale di Winnicott).
FONTE: Dott. Paolo Chellini
Dott.Paolo Chellini Psicologo, Psicoterapeuta
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